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Francesco Rovetta firmato veduta di Tavernole Valle Trompia dimensioni 32 x 42 cm con cornice 48x58 cm olio su cartone pressato.
Francesco Rovetta (Brescia, 13 luglio 1849 - 9 aprile 1932). Di Giovanni Battista (v.) e di Afra Ettori, agiati commercianti con negozio di stoffe al piano terra dell'antica casa medievale sita sull'angolo tra l'attuale corso Mameli e piazza Rovetta. Commerciante tessile e pittore. Avviato alla mercatura ma con vocazione all'arte, a 15 anni il padre (anch'egli buon cultore del disegno prospettico) gli permise di accostare un pittore: G.B. Ferrari. Tra le sue opere prime è una grande veduta del lago di Ledro che Gabriella Dugnani Rovetta colloca, come da documentazioni scritte, nel 1865. Del 1865 sarebbe anche il magnifico disegno "Fiume con pescatore". Più agevoli da collocare, scrive l'Anelli, il "Ritratto della madre" e quello del "Padre", da porsi sul 1867-68 per l'età degli effigiati, che si vogliono dipinti a circa diciott'anni per strappare ai genitori quel permesso di frequentare l'Accademia di Brera che gli fu negato. Del 1871-72 è il magnifico "Ritratto della fidanzata" da alcuni indicato come il vertice della sua arte. Al 1876-77 circa si data il "Ritratto della moglie", che aveva sposato nel 1872, anche questo veramente magnifico. Fra la produzione paesaggistica riveste per l'Anelli valore paradigmatico il grande e bel paesaggio con "Il capraio con quattro caprette nel paesaggio", di cui esiste la documentazione di una lunga progettazione in disegni parziali. Amico strettissimo di Modesto Faustini del quale si adoperò perchè il Comune ne acquisisse le opere e ne curò, alla morte, essendo suo esecutore testamentario, la vendita dello studio, lo ritenne, come dimostrano i soggetti mistico-religiosi, culturalmente in assonanza. Come rileva il nipote arch. Francesco Rovetta, proficua gli fu anche la permanenza a Parigi a fine secolo, richiamato dalla mostra di Meissonier nel 1897, della quale peraltro rimase deluso avendo già prodotto nel 1871-72 il citato "Ritratto della fidanzata". Il linguaggio pittorico del Rovetta, nuovo ed originale, era infatti informato quasi intuitivamente alle nuove tecniche pittoriche che si svilupparono e si affermarono Oltralpe. Le nozze con Maria Silva, la sua quasi unica modella femminile, lo impegnarono tuttavia ancor più sul piano dell'attività commerciale dovendo occuparsi anche della ditta Silva e nelle cure della famiglia cresciuta di sei figli, cinque maschi (Giuseppe, Giovanni (v.), Federico (v.), Angelo e Antonio (v.)) ed una femmina, Marianna, che morì appena diciottenne nel 1906. Ebbe anche il dispiacere di perdere il figlio Giuseppe morto il 30 maggio 1919. Amico di pittori (F. Filippini, C. Bertolotti, G. Amus, C. Manziana, G. Cresseri, A. Zuccari ecc.) e di cultori d'arte, nel 1876 fondava con loro l'associazione "Arte in famiglia"; in più di 50 anni di vita organizzò mostre, promosse iniziative culturali di notevole rilievo. Per tali benemerenze il 19 marzo 1882 veniva eletto socio dell'Ateneo di Brescia. Nello stesso anno esponeva con successo alla Mostra nazionale delle Belle Arti di Roma e nel 1886 rivelava ancor più la sua personalità artistica tanto da far scrivere al critico della "Sentinella Bresciana", dopo aver sottolineato quanto fosse poco conosciuto per la modestia e il carattere, che «i lavori da lui esposti sono, per molti riguardi, di una tale eccellenza, che io stimo ch'egli manchi ad uno de' suoi più stretti doveri non dedicando maggior tempo ad un'arte, nella quale egli è già penetrato così addentro. Qualunque genere tratti, dipinga ad olio o all'acquerello, ritragga uomini o cose, egli vi si prepara collo studio profondo del vero, e dalla sua mano intelligente escono lavori ricchi di sapere e di poesia». Presente ad "Arte in famiglia" dell'agosto 1887, la mancanza nel 1888 avvertita dal critico della "Sentinella bresciana" veniva attribuita al "dolce far niente" preferito da pittori e poeti. Il che non era vero perchè anche se la sua vera attività era la pittura che coltivava dalla mattina presto alla sera con l'impegno dell'autentico professionista, il Rovetta era in realtà coinvolto nell'attività commerciale che si andava sempre più espandendo e si stava inoltre impegnando sempre più sul piano amministrativo della città con la nomina nel 1892 a consigliere comunale, incarico che coprirà fino al 1899, senza transigere mai con la propria coscienza e le proprie convinzioni. Così nel 1895 non ristette dal dare voto contrario alla proposta di partecipazione alle manifestazioni del venticinquesimo della presa di Roma, nel 1896 nell'opporsi al progetto Cassa per i restauri della Loggia. Fu con lo stesso rigore membro della commissione di vigilanza della Pinacoteca Tosio-Martinengo e dei Musei di Brescia e della commissione per la conservazione dei Monumenti: tutte cariche che ricoprirà con grande senso della responsabilità e del dovere, onestà specchiatissima e dedizione totale alla causa della conservazione dei beni artistici tramandatici dai secoli passati. Al contempo quotidiana diverrà la comunione con studiosi frequentanti l'Ateneo: da Pietro Da Ponte a Ugo Da Como, da Gaetano Fornasini al co. Teodoro Lechi, Fabio Glissenti, Flaviano Capretti, Vincenzo Lonati, mons. Fè d'Ostiani ecc. Proprio con Carlo Manziana, Pietro Da Ponte, Pio Bettoni, l'Arcioni, Andrea Fossati, l'on. Quistini, l'avv. Orefici e altri non meno noti studiosi e artefici Francesco Rovetta porrà le basi per l'ottima presenza bresciana in Roma; con Tagliaferri, ancora Da Ponte, Manziana, Dabbeni e Francesco Pasini sarà membro della commissione esecutiva della manifestazione pubblicamente elogiata a festeggiamenti conclusi. Da ricordare inoltre mostre artistiche allestite in Pinacoteca o nel Teatro Grande durante il primo conflitto mondiale, che videro Rovetta operare a sostegno di artisti o per dare efficacia a iniziative dedicate ai soldati impegnati in battaglia. La sua presenza si estese anche alla organizzazione della mostra d'arte in palazzo Bargnani in occasione dei festeggiamenti a Moretto (1898); al Consiglio della scuola professionale Moretto (1900 circa); preziosissima si rivelerà in seno al Sottocomitato per la Esposizione del 1911 a Roma e come membro di commissioni giudicatrici per l'assegnazione dei legati Brozzoni, membro alfine della giuria incaricata di scegliere i bozzetti per il ricordo a Cesare Battisti (1917) accanto a Canossi, Contratti, Zuccari, Arcioni... Profonda la sua religiosità che sull'esempio dello zio don Silva si avvicinò, negli anni giovanili, alle esaltazioni misticheggianti di don Angelo Berzi (con il quale il Rovetta ebbe corrispondenza) ma che non fu, come è stato sospettato, intransigente e tanto meno codina. Egli infatti fu vicino alle posizioni di mons. Bonomelli mantenendo, come ha scritto il Panazza, una vera libertà di giudizio e una sua indipendenza dalle gerarchie ecclesiastiche. Il pensiero di Rosmini, Manzoni, Tommaseo è presente nella sua poetica pittorica. Sentì molto la carità verso il prossimo per cui fu per decenni confratello e poi presidente della Congrega della Carità Apostolica e membro attivo di parecchie istituzioni di beneficenza, oltre che fabbriciere delle parrocchie di S. Giovanni Ev. in città e di Bornato. Dal 1896 al 1901 fu sindaco supplente del C.A.B.. Dal 1919 fu membro del consiglio di amministrazione della Banca S. Paolo; fu anche consigliere provinciale a Brescia. Comunque non smise mai di dipingere uscendo anche allo scoperto, nonostante una congenita riluttanza, come nel 1890 ad Arte in famiglia, nel 1894 alla Mostra Triennale di Belle Arti a Milano con "Idillio mistico" e con "Studio in Valtrompia", nel 1898 con teste a pastello all'Esposizione di Arte Moderna, nel 1902 ad Arte in famiglia con "Molte teste". In tali anni si dedicava anche all'affresco intraprendendo la decorazione della chiesa di S. Giacomo al ponte Mella di cui era rettore lo zio don Antonio Silva e nella quale fino al 1925 dipinse l'Annunciazione, la Trasfigurazione, il Buon Pastore, Crocifissione, Evangelisti e santi con "esiti, scrive l'Anelli, discontinui" ma anche con apertura religiosa e artistica messa in rilievo nel 1989 da Monica Rovetta. Più tardi nel novembre 1920 ritornò ad esporre ad Arte in famiglia nella quale veniva riconosciuto come "dilettante nel più puro e migliore senso della parola". "Avvolto, quasi oppresso nella sua stessa modestia" lo presentava A. Bagni, critico della "Provincia di Brescia" alla Terza Mostra nazionale di pittura e scultura del maggio 1923. In alcune sue composizioni è possibile cogliere ispirazioni di amici bresciani come Filippini, Faustini ed altri ma poi è lo stesso Rovetta ad influenzare con le sue opere Mosè Bianchi, Carcano e lo stesso Filippini che riconosce che l'allievo ha già superato il maestro e dichiara di non avere più nulla da insegnargli. Negli anni della formazione, fino al 1875 o poco oltre, sceglie motivi derivanti dalla pittura accademica ancora perseguita da non pochi e affermati pittori e il tema storico, che lo coinvolge per breve tempo, echeggia in "Fuga di Pompei", "Sacrestia" (1887 circa), opere fatte di luci radenti, pervase da tragica atmosfera; i vari interni (1889-1890 circa) dedicati a l'"Angolo rustico", "Finestra", "Finestra con tenda", "Lo studioso" ricreano visioni abbondantemente sfruttate da apprezzati artifici pur conservando la novità del linguaggio e del messaggio poetico. I critici, come rileva il Lonati, individuano il filone maggiormente significativo delle opere rovettiane in quello in cui il pittore, attraverso l'acquisita capacità di sintesi, riesce a far vibrare l'essenza poetica del suo animo: nel "Ritratto della moglie col figlio Giovanni" (1883 circa), in "Venezia di vespro" (1890-93), nel "Ritratto della moglie in giardino" (1904-5), nel "Muro rosso" (1905), in "Capanni sulla spiaggia" (1909), in altre ancora: "Barche a Sirmione", "Platani lungo in Tosa" dalla insorgenza metafisica, "Palafitte" dalla vibratile luce che tutto inonda, "Case rustiche" dai sapidi toni, dallo scorcio ardito... Oltre a tutta la produzione di cavalletto rimangono di lui una pala di grandi dimensioni raffigurante l'"Addolorata" (1884) nella chiesa parrocchiale di Costalunga cui nuoce l'assenza di consumato mestiere data l'età e l'esperienza del pittore che, invece, rivelerà, come scrive il Lonati, "il pieno possesso di tecnica in altre opere" quali la copia del "Redentore" di Raffaello, custodita dalla Pinacoteca Tosio-Martinengo; la "Cena in Emmaus" e "Annunciazione" tratte da tele del Moretto e definite frutto di grandissima interpretazione. «Né vanno dimenticati, come rileva il Lonati, i numerosi acquarelli realizzati da Francesco Rovetta, con tratto largo su fondi lievemente colorati in cui i volumi sono solidamente costruiti a macchie sovrapposte e scandite; i disegni che rivelano un accurato studio degli antichi, la abilità costruttiva dei nitidi tratti a ricomporre un oggetto, un profilo, il guizzante gioco di un animale, l'amorevole goffaggine d'un amico...».Dopo la sua morte comparve nella Mostra dei pittori bresciani dell'aprile-maggio 1934, ma solo nel maggio 1937 gli veniva dedicata nel salone Vanvitelliano una mostra postuma con circa duecento opere e un piccolo catalogo curato da Gio. Renato Crippa. Una mostra retrospettiva veniva allestita nel maggio 1950 nel rinnovato negozio Silva sotto i Portici. Con 16 opere era poi presente alla Mostra dell'800 tenuta nel settembre 1956 alla Pinacoteca Tosio-Martinengo. La mostra commemorativa dell'ottobre 1971, tenutasi nelle sale dell'AAB, curata dall'arch. Francesco Rovetta e accompagnata da un catalogo curato da Gaetano Panazza e da Gabriella Rovetta Dugnani, ha reso a Rovetta quel giusto riconoscimento che veniva da anni aspettato, come scrisse Elvira Cassa Salvi, ad una "vocazione vitale e feconda" tenuta il più possibile nascosta. Infine alcuni suoi paesaggi della Valtrompia sono apparsi a Villa Glisenti di Villa Carcina nel giugno 1992. «Il Rovetta, ha scritto Riccardo Lonati, si può paragonare ad un diamante, tanto salda e compatta fu la sua struttura di uomo, ma nel tempo stesso ricca di sfaccettature a seconda che si esaminino i vari aspetti della sua personalità». Gaetano Panazza ha rilevato «un'aderenza perfetta all'uomo, come si è detto, ritrovata nella sua pittura. Le molte opere non sono firmate e neppure datate, di modo che non è facile rendersi conto delle trasformazioni operatesi nel suo stile». Indubbiamente, ha rilevato il Panazza, il Rovetta ebbe una componente culturale impressionista; ne vede infatti dei rimandi nel "Contadino con la zucca" e nell'"Uliveto sul lago d'Iseo", e più avanti fin nelle opere ultime. «Il Rovetta, come ha scritto l'Anelli, è sempre vigile, attento nelle scelte, intenzionale in ogni operazione critica, intelligentissimo nella scelta e nella resa della luce. La sua opera è ricca di idee sempre nuove, di scorci sempre variati, di soluzioni sempre originali. Ciò che più mi impressiona nelle opere del Rovetta è la straordinaria intelligenza della luce: nei ritratti, come nei paesaggi, come nelle nature morte, come negli interni. Anche quando la sua cromia, per vero mai assordante, diviene sempre più castigata e severa, in una pittura ricca e sugosa ma di brescianissima austerità». Fu pure poeta e in alcune pagine si rivelò non comune e acuto interprete di fatti poetici.
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